“ART. 316 ter c.p. : “Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”L’art. 4 della legge 300 del 2000, in attuazione di disposizioni comunitarie, ha introdotto nel nostro ordinamento l’art. 316 ter del codice penale.
Tale norma sanziona chiunque utilizzando o presentando dichiarazioni materialmente o ideologicamente false o omettendo di dare informazioni dovute, consegue indebitamente, per sè o per altri, contributi o erogazioni da parte dello Stato, di altri enti pubblici o della Comunità Europea, prevedendo come sanzione la reclusione dai sei mesi ai tre anni.
Una prima peculiarità di questo articolo è data da quanto previsto dal suo secondo comma in cui si pone una soglia all’applicazione della sanzione penale, si fissa il limite dei quattro mila euro come spartiacque fra l’applicazione della sanzione penale e l’applicazione della sanzione amministrativa.
Infatti, nell’ipotesi in cui i contributi ottenuti indebitamente siano inferiori a tale somma, è prevista la sola sanzione amministrativa del pagamento di una somma, fra i 5 e i 25 mila euro, che in ogni caso non potrà superare il triplo del beneficio conseguito.
La principale questione riguarda e deriva dalle prime parole dell’articolo : “Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640 bis”.
Occorre esaminare in che rapporto si pone, quindi, questo reato con quello della truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
Le due alternative fra cui si sono schierate la dottrina e la giurisprudenza si basano sui criteri di sussidiarietà e di specialità, in base al primo l’art. 316 ter sarebbe sussidiario rispetto al reato di truffa e quindi troverebbe applicazione solo in quei casi residuali che fuoriescono dall’applicazione di quest’ultimo reato.
In base al secondo, invece, si applicherebbe l’art. 316 ter tutte le volte in cui si realizzassero quelle condotte esplicitamente descritte dal legislatore, applicandosi il reato di truffa nei casi in cui a queste si unissero altri artifici e raggiri.
La Cassazione nelle prime pronunce si è schierata radicalmente a favore del principio di sussidiarietà, in attuazione del disposto della prima frase dell’articolo e per rispetto alla normativa comunitaria posta alla base della creazione di questo reato, la quale era volta ad estendere la tutela degli interessi comunitari e non ad abbassare la guardia circa la repressione di questi reati.
Così facendo la Cassazione limitava al minimo l’applicazione dell’art. 316 ter in quanto nel nostro Paese, per giurisprudenza costante, condotte come la presentazione di atti falsi per ottenere benefici, costituiscono di per sè gli artifici e i raggiri previsti dall’art. 640.
Da ciò sono scaturite le prime pronunce in senso contrario, volte a dare piena attuazione al contenuto dell’art. 316 ter, e importante in tal senso è stata la sentenza n. 23083/2002 della Cassazione, con la quale la Suprema Corte ha superato il problema dell’applicazione del principio di sussidiarietà o di specialità, affermando che pur costituendo la prima frase dell’articolo una clausola di sussidiarietà espressa, tuttavia non è possibile scavalcare il significato letterale dell’articolo, dal quale emerge come il legislatore nel vastissimo ventaglio di comportamenti ha enucleato quello di gravità minore, rappresentato dal semplice utilizzo o dalla semplice omissione, e soltanto a tale condotta, non accompagnata da ulteriori malizie dirette all’induzione in errore del soggetto passivo, ha inteso collegare conseguenze più favorevoli in termini sanzionatori di quelle previste per il delitto di truffa.
Nel concreto, l’applicazione letterale e più estensiva dell’art. 316 ter, risolve quanto meno un problema evidenziato del resto nella stessa brochure di questo convegno, ove si sottolinea come anche gli operatori corretti corrono il rischio di essere accusati di frode a danno della Comunità, spesso semplicemente a causa di un’errata interpretazione della normativa comunitaria.
Oggi l’art. 316 ter può essere quindi uno strumento per incanalare tali fattispecie minori in una ipotesi di reato che prevede sanzioni più lievi se non proprio la depenalizzazione della condotta.
Dott. Donato Sandro Putignano